venerdì, novembre 30, 2007

Les Amants d'un jour

Ritrovata da una breve ricerca su H.Pagani, in pausa studio.

Postata per l'assoluta serenita' e dolcezza che ha trasmesso, senz'altro significato alcuno.

(E niente foto perche' questo testo fa gia' da scena.)

Moi j'essuie les verres
Au fond du café
J'ai bien trop à faire
Pour pouvoir rêver
Mais dans ce décor
Banal à pleurer
Il me semble encore
Les voir arriver...
Ils sont arrivés
Se tenant par la main
L'air émerveillé
De deux chérubins
Portant le soleil
Ils ont demandé
D'une voix tranquille
Un toit pour s'aimer
Au cœur de la ville
Et je me rappelle
Qu'ils ont regardé
D'un air attendri
La chambre d'hôtel
Au papier jauni
Et quand j'ai fermé
La porte sur eux
Y avait tant de soleil
Au fond de leurs yeux
Que ça m'a fait mal,
Que ça m'a fait mal...

Moi, j'essuie les verres
Au fond du café
J'ai bien trop à faire
Pour pouvoir rêver
Mais dans ce décor
Banal à pleurer
C'est corps contre corps
Qu'on les a trouvés...

On les a trouvés
Se tenant par la main
Les yeux fermés
Vers d'autres matins
Remplis de soleil
On les a couchés
Unis et tranquilles
Dans un lit creusé
Au cœur de la ville
Et je me rappelle
Avoir refermé
Dans le petit jour
La chambre d'hôtel
Des amants d'un jour
Mais ils m'ont planté
Tout au fond du cœur
Un goût de leur soleil
Et tant de couleurs
Que ça m'a fait mal,
Que ça m'a fait mal...

Moi j'essuie les verres
Au fond du café
J'ai bien trop à faire
Pour pouvoir rêver
Mais dans ce décor
Banal à pleurer
Y a toujours dehors......
La chambre à louer


(Testo di Claude Delecluse e Michelle Senlis, Musica di Marguerite Monnot - Edizioni Paul Beuscher 1956)

domenica, novembre 18, 2007

Foreign child

Small, small world we leave in.

And to talk about globalization is now banal. Yes, like every reshuffled, reflexed-upon, logically-reasoned and rationally-synthesised, -explained and –evaluated issue. Alright, but can we really flatten the chaotic, exotic, dramatic and comic world of globalization with a mention of common, banal?

If yes, who can in a word, or a post or a journal entry fully explain the fear of moving to a new country, to a cosmopolitan, busy city, and yet feel isolated from a world that is not his/her own? Who can explain the first night’s restlessness, the enchantment and comfort instead at the soft chant of foreign voices from outside the window in a lonely, moony night?

Who can explain the unavoidable smile of mine, walking through the corridors of the Turkish market in The Hague? - which is Turkish, by name, but then it’s Surinamese too, and Dutch of course, Chinese, Italian, Arabic, and maybe also Bangladeshi, etc…

Who can explain the fear of passing in front of a men-only Shisha café near HollandSpur, and how could a sign (unexisting in fact) tell any better than their eyes on you that it is men only, their perfect circle of words and glances protected from their foreign hosts by the fume of their cigarettes?

Who can better explain my open-wide mouth at staring at dozens of dressed up kids lining up the roads whilst my tram silently passes by them, whilst they wait for Santa Klaus who arrived yesterday from Spain to the Hague, through the mythical crossing of the Pyrenees?

Or my surprise at the awkward sign Koffie Huis Venice?

And finally, who can explain my sunk of the heart, the anxiety in the chest, the temples beating and flushing cheeks, as the Spanish secretary of state for development speaks of her projects in Latin America? That set-on the spot-go feeling, like on the pool board before a race?

How can any word, html or .doc sheet explain all this better than simply images and emotions? A soiree of contemporary dance at the Dutch Dance Festival drains me of every tear I had been controlling and suppressing throughout my day. Why these tears in the theatre but not on the road? Why are emotions adult when in fiction, but not through reality?

We live in a more complicated world than our rational universe can code. Shouldn’t we pick up our childhood pastels again then and start drawing our excitement on every pavement we walk, letting this alone draw step by step our next direction? At another soiree of the Festival I absorb every beat and cry of five burning hip-hop slash tip-tap slash rap and pop young talents, to spike the adrenaline and jot down these few flashes of life. Likewise today like a scatterbrain kid I climb up fences to reach my spot of view over dunes and ramps on Scheveningen beach and let the roams of thousands of breaking motorcycle engines pump my blood.

An early morning spent raffling through old boxes brought out forgotten paintings, photos, diplomas and poems. Yet one discovers so much life in them through present dreams and near plans, as to sweep away any dust they might have been veiled in since. With blind faith in them, I approach and draw my dreams.

A life of travels bars your eyes and ears wide and open. But the greatest satisfaction is living through every place's emotions. No more logical synthesis makes the understanding of them any deeper. Our own childhood eyes bring life to every place we touch. Not viceversa.

LaPapayaVerde hopefully will simply be a kid's scared or fascinated glance over the outside world.

lunedì, novembre 12, 2007

L'equilibrista

Camminiamo tutti, o quasi tutti, su un marciapiede, quello della nostra citta’ o in vacanza, su una moquette, di casa nostra o di un albergo, o sul lido di una spiaggia, una scarpata in montagna, un laghetto, nella fanghiglia.

Capita poi, o puo’ capitare, che il marciapiede si stringa, la moquette si assottigli o i fili d’erba si facciano piu’ alti, la fanghiglia piu’ appiccicosa. Se vogliamo, proseguiamo.

Altre volte capita pero’ che la strada si stringa, i granelli di sabbia sgretolino via, i fili d’erba si diradino. Pezzo dopo pezzo cadono frammenti di terra tutt’intorno. Precipitano, sotto il vuoto. E noi li vediamo franare ai nostri fianchi, il dirupo sotto di noi, e quasi pensiamo che sia miracolo a quel sottile strato di terra rimasto intatto sotto ai nostri piedi. Si fanno sempre piu' attenti i passi lungo il sentiero, ormai finissimo, mentre silenziosi scivolano giu' gli ultimi granelli di sabbia o d’asfalto, gli ultimi fili d’erba o di moquette. E ci ritroviamo su un filo.

Equilibriste possiamo esserlo stato in passato. Ma in un circo c’era sempre il materasso sotto alla fune, od una corda salvavita nel corpino.

Stavolta siamo nude, il filo e’ sospeso e lungo. Infinito allo sguardo.

Capita allora che occorra imparare a fare davvero le equilibriste. La pianta del piede ricurva sul filo, il braccio dritto oltre la spalla, reattivo, flessibile, le gambe forti ed agili. L’equilibrista non puo’ voltare lo sguardo, non puo’ interrogarsi, non puo’ capire dove possa essere occorsa la crepa, o le crepe, dove se ne sia precipitato il sentiero. Il mento alto, lo sguardo dritto, i muscoli disciplinati. Non puo’ sbagliare. Senno’ cade.

A volte capita, o puo’ capitare, che mentre si cammina la strada si stringa, i granelli di sabbia sgretolino via, i fili d’erba si diradano. E ci ritroviamo su un filo. L’equilibrista non puo’ voltare lo sguardo, non puo’ guardare in basso. Il mento alto, deve continuare a camminare. Senno’ cade.

domenica, novembre 11, 2007

All'Aurora

Una serata, scelta solitaria, nel salotto dei miei. Ripasso la libreria alla ricerca di un classico. Sete di poesia mi porta su un'antologia di Carducci. Non volevo fare tardi ieri sera. Ma le pagine girano da sole. E tra storie e la Storia, gli affreschi scritti dal Carducci riempono le ore. E me.

Non perche' il professore di Lettere abbia insegnato in quella che e' l'attuale sede della mia facolta', Via Zamboni 33, Bologna. Non perche' quest'uomo sia giunto li' a soli 25 anni e questo mi riempie di speranza e ammirazione. Ma perche' i suoi versi letti muta nella mente mi son scorsi come un film davanti agli occhi e nel sangue e nell'affanno.

Distesa sul divano, con un cioccolato sotto la lingua, ho gustato luci ed ombre di quelle ore silenziose all'Aia. All' Aurora soprattutto, rimane nei sogni. E non solo quelli di questa notte.

Buona lettura a chi l'appassioni.


All'Aurora

Tu sali e baci, o dea, co 'l roseo fiato le nubi,
baci de' marmorei templi le fosche cime.
Ti sente e con gelido fremito destasi il bosco,
spiccasi il falco a volo su con rapace gioia;

mentre ne l'umida foglia pispigliano garruli i nidi,
e grigio urla il gabbiano su 'l vïolaceo mare.
Primi nel pian faticoso di te s'allegrano i fiumi
tremuli luccicando tra 'l mormorar de' pioppi:

corre da i paschi baldo vèr' l'alte fluenti il poledro
sauro, dritto il chiomante capo, nitrendo a' venti:
vigile da i tuguri risponde la forza de i cani
e di gagliardi mugghi tutta la valle suona.

Ma l'uom che tu svegli a oprar consumando la vita,
te giovinetta antica, te giovinetta eterna
ancor pensoso ammira, come già t'adoravan su 'l monte
ritti fra i bianchi armenti i nobili Aria padri.

Ancor sovra l'ali del fresco mattino rivola
l'inno che a te su l'aste disser poggiati i padri.
Pastorella del cielo, tu, frante a la suora gelosa
le stalle, riadduci le rosse vacche in cielo.

Guidi le rosse vacche, guidi tu il candido armento
e le bionde cavalle care a i fratelli Asvini.
Come giovine donna che va da i lavacri a lo sposo
riflettendo ne gli occhi il desïato amore,


tu sorridendo lasci caderti i veli leggiadri
e le virginee forme scuopri serena a i cieli.
Affocata le guance, ansante dal candido petto,
corri al sovran de i mondi, al bel fiammante Suria,

e il giungi, e in arco distendi le rosee braccia al gagliardo
collo; ma tosto fuggi di quel tremendo i rai.
Allora gli Asvini gemelli, cavalieri del cielo,
rosea tremante accolgon te nel bel carro d'oro;

e volgi verso dove, misurato il cammino di gloria,
stanco ti cerchi il nume ne i mister de la sera.
Deh propizia trasvola – così t'invocavano i padri
–nel rosseggiante carro sopra le nostre case.

Arriva da le plaghe d'orïente con la fortuna,
con le fiorenti biade, con lo spumante latte;
ed in mezzo a' vitelli danzando con floride chiome
molta prole t'adori, pastorella del cielo.

Così cantavano gli Aria. Ma piacqueti meglio l'Imetto
fresco di venti rivi, che al ciel di timi odora:
piacquerti su l'Imetto i lesti cacciatori mortali
prementi le rugiade co 'l coturnato piede.

Inchinaronsi i cieli, un dolce chiarore vermiglio
ombrò la selva e il colle, quando scendesti, o dea.
Non tu scendesti, o dea: ma Cefalo attratto al tuo bacio
salia per l'aure lieve, bello come un bel dio.

Su gli amorosi venti salia, tra soavi fragranze,
tra le nozze de i fiori, tra gl'imenei de' rivi.
La chioma d'oro lenta irriga il collo, a l'omero bianco
con un cinto vermiglio sta la faretra d'oro.

Cadde l'arco su l'erbe; e Lèlapo immobil con erto
il fido arguto muso mira salire il sire.
Oh baci d'una dea fragranti tra la rugiada!
oh ambrosia de l'amore nel giovinetto mondo!

Ami tu anche, o dea? Ma il nostro genere è stanco;
mesto il tuo viso, o bella, su le cittadi appare.
Languon fiocchi i fanali; rincase, e né meno ti guarda,
una pallida torma che si credé gioire.

Sbatte l'operaio rabbioso le stridule imposte,
e maledice al giorno che rimena il servaggio.
Solo un amante forse che placida al sonno commise
la dolce donna, caldo de' baci suoi le vene,

alacre affronta e lieto l'aure tue gelide e il viso:
"Portami", dice, " Aurora, su 'l tuo corsier di fiamma!
Ne i campi de le stelle mi porta, ond'io vegga la terra
tutta risorridente nel roseo lume tuo,

e vegga la mia donna davanti al sole che leva
sparsa le nere trecce giù pe 'l rorido seno".