mercoledì, novembre 17, 2010

Il Mosaico di Me

Spendo un' ora questa mattina, nella mia esperta ricerca di un volo low cost. E rifletto su quante ore, o giorni piuttosto, ho sprecato in questa attivita' da dieci anni ad oggi.

Battezzo quest'anno il decimo anno di nomadismo volontario. Dieci anni fa esatti lasciai il mio mazzo di chiavi a casa per cercarmi una serratura nuova. La "casa" che lasciavo non era nemmeno casa mia, ma una base temporanea. Gli Inglesi direbbero, "house" e non "home". Ma questa e' un'altra storia.

Dieci anni fa, trasferendomi dall' Inghilterra, mi battezzai studentessa Universitaria e partii per Bologna per iniziare un percorso di crescita culturale. Fini' questa per essere una tappa fondamentale del mio sviluppo personale, e scoprii allora piu' da Italiana in Italia che prima da Italiana all'estero, che la Cultura con la c maiuscola che cercavo ingloba in realta' differenti contesti culturali. La Bologna citta' di migranti mi svelo' il fascino del relativismo culturale piu' di molti anni passati all'estero. Senza alcun piano preciso, mi iscrissi a due associazioni Universitarie per il dialogo degli studenti d' Europa, partecipai ad attivita' di mediazione culturale per rifugiati politici, e strinsi forti legami di amicizia con colleghi Erasmus ed Overseas.

A diciassette anni non ero che pappo strappato a un soffione. Il contrasto mi arricchiva, odorava di opportunita' altrimenti sconosciute. Ero sola a Bologna, volontariamente libera, o liberata come la pensavo allora, dalla struttura dei valori della mia educazione (leggi: della mia famiglia).

Con la grinta di un' adolescente e la curiosita' di una bambina, strappavo ore al sonno per seguire notizie, lezioni, seminari, programmi video e radio, partecipare a concerti, manifestazioni, gare sportive, e attivita' di circoli sociali, nel tentativo di poter assorbire come crostone nel caciucco, informazioni ed esperienza di vita. Conoscenza e conoscenze possono sommare quegli anni in un motto. Cominciai questo blog in questo contesto, anche per un confronto con valori prettamente miei, che andavo costruendo. E piu' io succhiavo il mio caciucco di culture, Cultura ed esperienze, piu' era l'esercizio di selezione che andava effettivamente definendomi. Di allora, molti pensieri scritti e dimenticati, poi abbandonati di soffitta in soffitta nei i continui traslochi. Da quelle conoscenze, molte lezioni, qualche bruciatura e ad oggi un pugno di certezze.

Esprimiamo noi stessi, una volta eliminati noi stessi. Non esiste nessuna idea del Se', precetti morali o fondamenti etici. Siamo nell'esercizio quotidiano, e non nel suo contesto.

Aborro doverlo affrontare, ma preparo l'ennesimo trasloco. Consulto nuovamente il mio passato nelle molte lettere o SMS scritti, le foto scattate e i filmini girati. Nuovamente interpreto i sogni e le paure che rinascono. Ai timbri sul libretto rosso cadmio o a quelli che mancano non guardo pero', ne' ai libri non letti e le arti mai perfezionate. Consulto piuttosto le mie origini, rivedo la necessita' di una meta, e ritrovo la priorita' nel come, nel presente.

Stringo la mano del mio compagno e sento che questo basta. Dieci anni di ricerca di un' identita' personale e culturale in peregrinamenti e confronti tra opposte strutture culturali, etiche e sociali, mi hanno portata a voler strappare da me altro che abbandono. Li' soltanto mi ritrovo autentica.

Rientro dalla mia seconda visita all' India, che pago da una dimensione di "Globe Trotter", mi viene detto. C'e' chi conferma notando che spesso porto scarpe rotte. Ora, in India ho comprato la Super Attak due volte, e comprato un paio di sandali nuovi. Non so quale delle due soluzione durera' di piu'. Ma neppure so se effettivamente debbano durare. In fondo io non son in marcia per l' India, ma per una visita. E per questa un paio di suole non occorre, o non basta, a seconda.

Da qualche parte e' stato scritto che un Qundici di Gennaio avrei incontrato un uomo che mi avrebbe offerto un orizzonte comune. Capitava essere un Punjabi, del Nord dell' India cioe'. Sicura di possibili opposizioni da parte della famiglia, preparo i bagagli per farmi conoscere, e parto a mente vuota. Prendere un volo per raggiungerli non e' significativo in se'. Non prendo posizioni in base ad alcun contesto di origine, e cerco di stringere un legame con chi incontro di volta in volta. Costruisco il dialogo aprendomi sulle mie certezze personali e le mie fragialita'. Ricerco il contatto guardando ai genitori come genitori, o nella loro dimensione di compagni di vita, e non mi definisco dal contrasto con loro, mi definisco attraverso il dialogo con loro. Mi abbandono alle le giornate e ai nuovi ritmi e le bizzare quotidianita'.

Pratico il relativismo interculturale nel quotidiano e rifuggo la ricerca dello straordinario. Credo nel relativisimo culturale perche' non credo nelle culture. O meglio, non credo che alcun uomo sia piu' una cultura che un uomo. Ciascuno di noi sceglie cosa essere o non essere, attraverso il proprio esercizio quotidano. Tutti siamo influenzati da forti esperienze e da una pigrizia di fondo; a causa di entrambi assorbiamo un sentire comune, il modo di essere e di pensare che ci circondano. Ma non esiste nessun panorama nuovo, nessun piatto o danza tipici o abitazione autoctona che ci apriranno la mente piu' della nostra stessa riflessione cosciente e la pratica del contatto umano. Nella ralta' come nella fotografia, per chi se ne intende, un grand' angolo puo' limitare ad una ridotta profondita' di campo.

Prenoto ancora un volo, ma per rientrare alla base; tento uno stallo. Cerco di costruire, mattoncino su mattoncino, un piccolo Universo intorno a me che mi sia conforme, che mi nutri e mi protegga. Stendo lo stucco per terra. Ricerco riflessi di me nei piccoli frammenti di vetro che trovo, e quotidianamente raccolgo ed aggiusto i vetrini in un continuo mosaico di me.

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