lunedì, novembre 12, 2007

L'equilibrista

Camminiamo tutti, o quasi tutti, su un marciapiede, quello della nostra citta’ o in vacanza, su una moquette, di casa nostra o di un albergo, o sul lido di una spiaggia, una scarpata in montagna, un laghetto, nella fanghiglia.

Capita poi, o puo’ capitare, che il marciapiede si stringa, la moquette si assottigli o i fili d’erba si facciano piu’ alti, la fanghiglia piu’ appiccicosa. Se vogliamo, proseguiamo.

Altre volte capita pero’ che la strada si stringa, i granelli di sabbia sgretolino via, i fili d’erba si diradino. Pezzo dopo pezzo cadono frammenti di terra tutt’intorno. Precipitano, sotto il vuoto. E noi li vediamo franare ai nostri fianchi, il dirupo sotto di noi, e quasi pensiamo che sia miracolo a quel sottile strato di terra rimasto intatto sotto ai nostri piedi. Si fanno sempre piu' attenti i passi lungo il sentiero, ormai finissimo, mentre silenziosi scivolano giu' gli ultimi granelli di sabbia o d’asfalto, gli ultimi fili d’erba o di moquette. E ci ritroviamo su un filo.

Equilibriste possiamo esserlo stato in passato. Ma in un circo c’era sempre il materasso sotto alla fune, od una corda salvavita nel corpino.

Stavolta siamo nude, il filo e’ sospeso e lungo. Infinito allo sguardo.

Capita allora che occorra imparare a fare davvero le equilibriste. La pianta del piede ricurva sul filo, il braccio dritto oltre la spalla, reattivo, flessibile, le gambe forti ed agili. L’equilibrista non puo’ voltare lo sguardo, non puo’ interrogarsi, non puo’ capire dove possa essere occorsa la crepa, o le crepe, dove se ne sia precipitato il sentiero. Il mento alto, lo sguardo dritto, i muscoli disciplinati. Non puo’ sbagliare. Senno’ cade.

A volte capita, o puo’ capitare, che mentre si cammina la strada si stringa, i granelli di sabbia sgretolino via, i fili d’erba si diradano. E ci ritroviamo su un filo. L’equilibrista non puo’ voltare lo sguardo, non puo’ guardare in basso. Il mento alto, deve continuare a camminare. Senno’ cade.

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