venerdì, agosto 17, 2007

Street Children

BBC news
Un servizio fotografico dalla homepage della BBC stamattina, che secondo me merita tutta la nostra attenzione: un percorso tra bambini di strada a Kabul e le loro storie di lavoro e sogni. Essere dottore, o saper leggere e scrivere, avere abbastanza soldi per poter giocare o per andare al ristorante con la propria famiglia. Per non dover piu' correre al lavoro, sulle strade, ogni mattina dopo la scuola, o per avere piu' tempo da dedicare all'educazione. Ma "nobody likes the poor these days", si sa, confessa uno. Un altro, la mano posata su quella dell'amico e sulla mano di un altro, racconta al giornalista la loro condizione. Ha gli occhi vigili, la fronte aggrottata in un flusso di pensieri e ragionamenti, che a guardargli i lineamenti, si direbbero non potergli dare pace. Si esprime per tutti, mentre gli altri fissano nell'obiettivo con un sorriso, o piu' timidamente se ne stanno dietro agli altri. Lui parla anche di politica, o meglio, di politiche sociali: non parla di ideologie come giovani piu' fortunati se lo possono permettere dalle nostre parti. Parla di desideri e diritti. Ma intanto non si ferma. Lavora. E pensa.

Al ritorno dal Sudan, ripenso a quante volte avrei voluto prendere il coraggio in mano e con l'aiuto di qualche amico, parlare a questi bimbi. Avrei scoperto allora sicuramente che nei loro occhi di ghiaccio, e oltre le movenze primitive del loro vivere sul cemento, c'e' qualcosa di essenziale da conoscere. La paura non mi ha permesso di farlo. Una sera a Kharthoum, nella piazza sovraffolata del Mercato di AL-Arabia, dove occorre spingersi a vicenda per camminare, e guardare fissi per terra per non calpestare dita o piedi di mendicanti, io, ignara del problema, mi terrorizzo come mi sento afferrare il lembo della gonna dietro di me e con la coda dell'occhio vedo una sagoma scura appendersi. E allora tiro dritta, piu' veloce, strattonando, senza accorgermi che mi sto trascinando dietro per qualche metro un fagottino di bimbo. Ho paura a guardarlo quando mi fermo. E forse piu' per la mia vergogna, che non per lo specchio di odio scolpito nei suoi occhi.

A Kharthoum, cosi' come a Kabul, una grande fetta della nostra societa' abita quelle strade. Ma non soltanto nelle ore affollate del mercato, quando tutta la citta' fa suo quello spazio pubblico. C'e' chi di questo spazio pubblico e' obbligato a farne dimora privata. Odia gli altri piu' fortunati, o accetta di parlarci per spiegare la situazione propria. E nelle storie di Kabul pubblicate dal sito della BBC di oggi, nell'impegno dei bambini di strada e nella loro speranza per il futuro, ritrovo la stima per chi, nella disperazione, sa mantenere l'integrita' necessaria per un sorriso o per una mente sempre in cerca di alternative.

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