giovedì, ottobre 05, 2006

Parodia




Cari colleghi,
sono perplessa.
Non solo mi ha perplesso ora la marea di junk che ho dovuto cancellare dalla mia inbox prima di scrivervi questa mail: come siamo arrivati a questo livello di ingerenza del consumismo nelle nostre vite? Se volessi diventare ricca, che tristemente constato essere lo stesso fine di un lungo processo educativo e assai piu' ricco di qualche bella camera d'albergo o qualche portata di un ristorante di lusso in giro per il mondo, se solo volessi diventare ricca di certo non tenterei di farlo leggendo la mail, di certo non starei qui in stanza a scrivere a voi (cosa che invece amo fare) ma girerei a zonzo per qualche fiera ipocrita di cravatte e tacchi fini sperando di concludere l'affare della mia vita in uno sguardo e poche frasi!
C'e' poi la perplessita' indotta dalla seconda frase di questa lettera, una commistione di etnie linguistiche che deprimono lo stile. Mi ricordo a proposito nel giorno del mio volo, una coppia di donne buffe e molto chiacchierine, intente a portare avanti una conversazione assurda costruita non su frasi in lingua inglese e italiana alternate, ma mischiate. Parole interscambiabili tra una lingua e un altra, invenzioni linguistiche rubate da una lingua all'altra... frasi incomprensibili per chi parlasse soltano inglese o soltanto italiano: due expatriates, nel vero senso della parola. Non appartenenti piu' all'una o all'altra sponda di continente (notabilissimo tratto nei loro abiti stile mix-and-match, qualcuno mi ha insegnato...), sospesi nel mezzo di due culture, due storie, in una reinvenzione di societa'. Cosa che spesso accade in questi ambienti “internazionali”, globalizzati non tanto per la varieta' di culture, quanto per la varieta' di non-culture, di mistioni, di astrazioni di cultura, espresse , azzardo, da un'immagine Durrenmattiana di umanita' assurda e profonda.
Non vorrei incorrere in una banale analisi della ricchezza di questo ambiente straordinariamente ricco di diversita' con questa metafora, poiche' esso mi da' anzi la grinta per aprirmi a gente nuova ogni giorno, ma l'immagine aiuta a riflettere sull'ipocrisia con la quale si abusa di una ricchezza sminuita dallo stereotipo dell' “ambiente internazionale”. Un ambiente e' ricco (e qui ovviamente intendo umanamente) se costituito da individui ricchi, e certamente se gestito in modo da esaltarne la ricchezza di spirito/cultura. L'ambiente non e' ricco se semplicemente costituito da individui di eterogenea origine. Questo e' invece il facile assunto per un commercio di gente, di titoli di studio e di centri di studio, tema che voleva poi essere il vero oggetto di questa confidenza che vi faccio.
Sono rimasta piu' volte perplessa in questi giorni della finalita' attribuita allo studio presso la LSE da molti miei colleghi. Ho conosciuto persone senz'altro interessanti, intelligenti (se l'intelligenza e' misurabile rispetto a poche ma acute considerazioni)e intraprendenti. Ma solo in pochi casi ho incontrato persone che sono qui per scegliere un corso di studi che altrimenti non avrebbero trovato da nessun altra parte. Per sfruttare delle risorse che avrebbero senz'altro faticato a ritrovare (scopro che la futurstica biblioteca di cui vi scrivevo, e' niente popo' (??!!!) di meno che la BLEPS, la piu' grande biblioteca al mondo per scienza sociali). Scopro che l'aspirazione massima una volta usciti da questa fornace di opinioni, di dibattiti e di riflessioni e' un posto in consultancy per agevolare l'ammissione presso le grandi istituzioni internazionali, quindi deduco non tanto in vista di quello che vi si potrebbe apportare, quanto di quello che queste possano dare al tirocinante. Senz'altro in termini di carriera futura, quindi retribuzine.
Ma si conclude qui il mio lungo viaggio educativo, culminato in questo magnifico scenario? Sono stato un mero fattore produttivo di un'industria basata e limitata da un gruppo di istituzioni, efficienti e storiche senz'altro, ma che sono sate il prodotto di sommossamenti, di rivoluzioni di idee, di altri fermenti di intelligenze, poi ovviamente ribilanciate e controllate da qualche stato piu' “potente” di altri (e qui cedo al limite della potenzialita' di un individuo rispetto alla storia)? Io non lo credo. Non solo spero di no, ma agiro' perche' questo non sia cosi'. Ci imbattiamo in corsi di analisi sociologica del limite delle istituzioni, di analisi finemente argomentate sulle ingiuste conseguenze della globalizzazione, e poi cediamo alla tentazione di fare di questa internazionalita' un nuovo territorio di globalizzazione delle idee, perdendo la ricchezza che ci accompagna in questo percorso del master. Breve, perche' dura solo un anno, ma ogni uomo e' artefice del valore del proprio tempo... e di conseguenza del valore del tempo dei suoi colleghi, dei suoi compagni e di chiunque altro.
In questi giorni mi tocca la scelta dei corsi. Prometto a voi, e prometto a me stessa, che faro' di tutto perche' questa sia una scelta mia, aperta e critica rispetto alle mie acerbe opinioni, ma mia e non indotta dal bagliore di qualche valore che mi e' estraneo.
Un caldo abbraccio a tutti e...

“If we shadows have offended,
think but this,
and all is mended,
that you have but slumber'd here
while these visions did appear.
Gentles, do not reprehend:
If you pardon,
we will mend [...]”