venerdì, aprile 24, 2009

Gentile


Busso alla porta, piccolina, e' di legno dipinto di bianco. Fuori c'e' la stella rossa che sbatte e si soffoca nel vento, all'ingresso dell'ambasciata.
Busso, mentre mi pare di entrare in casa di qualcuno... apro piano e mi muovo intimidita dentro a questa stanzetta con la moquette, infilo la prima fila di sedie, sono poche, disposte in file regolari, appena dietro la porta. Una ragazza olandese parla forte e la voce rimbomba in quest'ambiente che pare sacro.

Un viso gentile, gli occhi a mandorla, dietro al vetro. L'unico segnale che forse sono nel luogo giusto: l'ambasciata del Vietnam.

E' questa, come sino ad oggi avevo sperato, la mia ultima tappa tra ambasciate dalle bandiere di colori d'ogni tipo, tappa necessaria, forzata persino, prima di esplorarne i paesi da punti di vista piu' intimi. Trovare la bandiera giusta che sventola lungo strade fitte di stendardi, pagare somme spropositate per visite troppo brevi per definirsi scoperte, pratiche ripetute dei moduli da riempire o la corsa dell'ultimo minuto a legalizzare giri che variano di giorno in giorno a seconda delle testate dei quotidiani che annuninciano nuove ribellioni, scontri, elezioni...

Oggi invece questo spazio civico, funzionale, quasi sbrigativo, mi ha accolta con quanta intimita' io avessi potuto immaginare per il mio viaggio. Entrare in un'ambasciata, mi ricordo, e' sempre un po' come azzardare il primo passo nel paese di destinazione... due anni fa esatti, come ora.

Non appena l'ultimo Olandese dal vocione grosso conclude le sue procedure in fila davanti a me, approccio il gentile signore dietro lo sportello. Scopriamo di parlare entrambi francese, cominciamo a scambiarci qualche frase timida, forse testando la conoscenza della lingua l'uno dell'altro, in una stanzetta che mi fa dimenticare di trovarmi nella vuota, cosmopolita Aia. Io gia' in Vietnam. Questo signore, forse, mentre ritorna ad una sua Francia che ha abitato per sette anni.

E com'e' triste l'Aia, mi dice. Ecco, si e' piccina, a volte troppo tranquilla, il cibo pessimo... ma forse non ha ancora avuto modo di scoprirla in bici, oltre i prati verdi che crescono dalle spiagge, le dune di sabbia e quasi sulle dune, le mucche. E poi le onde del mare grigie e lunghe, lunghissime sotto al sole o sotto alla pioggia, questi orizzonti sfuocati, questo cielo altissimo.

Roma e Venezia invece, mi dice, sono piacevoli ed ospitali. Dall'affollata Asia forse non si cura lui delle folle di turisti che ai nostri occhi deformano queste citta'. Lo stupisce come, mi dice, l'ospitalita', lo stile, le intimita', l'usanza di apprezzare il tempo e sedersi per pranzo ad esempio, ci accomunano, Italia e Vietnam. Non e' indifferente la cosa, mi fa riflettere, a cosi' tanta distanza un paese dall'altro. Visualizzo il mappamondo, e penso: ci devono essere altri confini rispetto a quelli di terra e di mare che separano od unisconi i popoli. E li' le culture si definiranno in modo diverso dai kilometri che le separano.

Pressata forse dal suo lavoro forse dal mio tempo, sto per girare il discorso alla sua chiusura, gli rivolgo una stretta di mano di sotto al vetro, risulta sbrigativa come si incastrano un po' le mani nella sottile fessura.

Pero' non resisto, e ancora: da quanti anni e' qui, dov'era prima? Cosi' ci confrontiamo quindi sulla sua Francia e la "nostra" Olanda. Lui e' di Hanoi, la mia prossima meta! E' un posto abbastanza a Nord e lontano dalle mie tappe di questo viaggio, da renderlo una curiosita' che non posso soddisfare questa volta. Pianfico di gia' una moto, una bella compagnia, e molti giorni in piu'. Allora devi fermarti un mese e ti accompagno. Ecco, abbasso lo sguardo e ritraggo un po' le confidenze.

Cosa fai? Lavori qui, mi chiede? Ah, studi? Si la crisi... Squilla un telefono, noi continuiamo, molti sorrisi, lo sfioro con un pensiero piu' personale: "je sens que vous allez faire retour a' Paris... J'ai cette impression". Il contorno fine degli occhi gli si allunga, disegna una fessura appena. La pupilla piccina e le sopracciglia rade gli donano un sorriso dolce. Anche il suo telefono squilla. Lo saluto, augurandogli buon lavoro (una pratica di rispetto, ho imparato), e lui mi augura buon viaggio ancora una volta.

Mentre tira su la cornetta mi avvio verso la porta, poi chiudendola mi giro, ci scambiamo il saluto e lo sento rispondere solo quando mi trovo dall'altro lato della porticina, bianca, pulita, umile, come il signore gentile allo sportello.

Mi sento leggera uscendo, lo sguardo si addolcisce, mentre mi preparo cosi' al Vietnam...

Image: Vu Tuan

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