sabato, dicembre 01, 2007

Suleymanyie Camii


Sara’ la giornata, grigio e vento, sara’ il silenzio intorno alla tomba dell’architetto della patria, sara’ la stanchezza di pochi gruppetti di studenti di qui dell’universita’ d’Istanbul, che si ritrovano per cena di fronte alla moschea, prima dell’ora della preghiera. Passano solenni insomma i minuti di questa ora.

Attendo il richiamo del muezzin. Solo il suono di un cellulare che squilla, con toni arabi in suoneria, una bandiera rossa di fronte al bar che sventola, due studentesse, sigarette in mano, che si alzano per pagare, il fascicolo nero dello studio sotto il braccio.

Sono tranquilla qui. Il posto “cirenaico” suggerito dalla fedele lonely planet non ho avuto il coraggio di provarlo questa sera. Forse le nuvole sono troppo fitte per quel cortile all’aperto, forse il sole troppo basso o il rumore della fontanella al centro del cortile troppo forte. Siedo qui dunque, all’oz kamaal lokantasi – una locanda, credo- in questo strano stato riflessivo. E non e’ il tempo di quest’oggi, smetto di illudermi.

Quella moschea - ed ecco che i muezzin iniziano a chiamare e la zucca al miele e pistacchio mi si comincia a sciogliere in bocca- quella moschea, dalle luci basse e luminose, il soffitto alto che rende lo spazio di preghiera piu’ ampio, e vuoto, colorato, i gruppetti di uomini a pregare insieme, silenziosi e coordinati, lo schema geometrico e sofisticato della pianta e delle piastrelle dipinte. Tutto giunge ai sensi assoluto. Serafica ricordo.

Pochissime volte prima questa sensazione di assoluta serenita’ e completezza. Poche da sola. Mai dentro ad una moschea. Qualcosa nell’aria qui c’e’.

Cosi’ diversa da una chiesa cristiana, eppure riti, credo e regole cosi’ vicini, con ipocrisie ed assurdita’.

Le voci dei miei vicini studenti procedono soffici insieme al vento, qualche ticchettio di posate domina il sonoro a intervalli irregolari. Qualche motorino, e il brusio di uno spiedo di kebab che gira.

I toni della mosche s’irradiano di un pallido rosa salmone e le nubi bianche si sperdono nel blu sempre piu’ intenso del cielo. Le narici spugne dei fumi di qualche camino.

Siamo stranieri, i sensi non si spengono – abbandonati ad ogni stimolo, non ci arrendiamo alla sorpresa. Rimane qualche flash in mente e il gusto estremamente dolce di questa “turkish pumpkin” sotto alla lingua.

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