domenica, luglio 09, 2006

Costumi



Viaggio in autobus. Sale una ragazza bruna, dal viso anche abbastanza comune, ma vestita con una splendida gonna adornata d’oro con scialle abbinato e qualche gioiello interessante ad arricchire la mise.

Mi soffermo ad osservarla nella sua eleganza, questi drappi si muovono dolcemente davanti ai miei occhi in mezzo ai freddi interni dell’autobus e tra i brandelli di abiti sudaticci di noi altri. Passano poche fermate e sfila dalla borsa sgargiante un cellulare. Si rompe l’incanto. Un forte accento dialettale, una rauca voce che si esprime in banali frasi intercalate da leggere volgarità mi guasta la magica immagine dei drappi dorati e sento un assurdo stridio di unghie graffiate su un gesso come s’insedia quest’oggetto nell’immagine. E’ una falsa comunicazione quella che ha trovato il mio manichino ed ha abbandonato tutta la magia che mi comunico’ invece nel suo silenzio e nella sua spoglia grazia.

Autostazione: passo rapidamente lungo la scalinata e quasi non noto un “barbone” steso per terra che dorme. Quattro averi: una coperta, due stracci indosso ed un paio di scarpe. Potrebbero essere esattamente quelli dei tanti pankabbestia quotidianamente visti in piazza Verdi. Ma il suo sonno mi pare in quell’ isolamento, infinite volte piu’ disperato delle vuote e volgari chiacchiere in piazza.

Leggo poi poche settimane fa per caso da un testo dell’autore messicano Coelho un brano sull’importanza della presentazione del se` all’altro. L’autore spiega come a suo avviso una postura sicura e pulita comporti un’apprezzabile impegno nel nostro da fare e col prossimo, come ogni atleta che si prepari all’ottima performance con la disciplina e la scioltezza della sua posizione di partenza. Scopro che e’ cosi che concepisco il mio abito, anche nel mio stile schizofrenico col quale ricerco troppo a situazioni e stati d’animo. Ma cerco di serbarmi sempre l’oggettivita` nel giudizio perche` il mio corpo e`il primo impatto con colui che sara’ il mio casuale interlocutore. E se poi preferiamo il costume all’abito ma lo tradiamo con parole stonate, allora non saremo neppure discreti attori di teatro che sappiano render credibile il proprio personaggio.

Cos’e` questa moda che vuole impiantare armonie d’oriente nell’isteria del nostro occidente. Cos’e` questo volersi accomunare a stili poveri senza pudore, senza sapere, senza alcuna curiosita’ al contesto che ne esalta la bellezza, il significato … e come puo’ continuare questa strumentalizzazione dei mezzi da parte di un settore commerciale che ci seduce a “distinguerci” drogandoci di standard e “must”? Ci rendiamo complici con la nostra ignoranza di una Fordiana efficienza.

Quali richiami d’oriente vorremmo evocare con qualche drappo in piu’ se poi non ci fermiamo ad osservare gli zingarelli che scorrazzano rozzamente per strada, se non ci soffermiamo sugli sguardi coi quali ci fissano, se non ci emozioniamo o addirittura commoviamo alla grazia, alla dolcezza con la quale una madre indiana accarezza il capo del suo esilissimo bimbo. E’ giovane, giovanissima la donna che spesso incontro sull’autobus. E i suoi occhi sono grandi e buoni. La compostezza del figlio e’ tanto affascinante quanti lo sguardo attento. Perche’ non ricercare questa sofisticatezza nel portamento, piuttosto che negli abiti? Perche’ volerci avvicinare all’abito tenendo sempre distante i costumi?

In quest’arido occidente anche il banale romanticismo d’un richiamo d’Oriente sa essere approssimativo e disimpegnato. Per questa societa’ alla ricerca del divertimento e della spensieratezza. Che spesso ci droga e droga anche me.

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